La Cappella dei SS. Felice e Fortunato

La Cappella dei SS. Felice e Fortunato con tele di Nicolò Bambini, Angelo Trevisani, Gaspare Diziani G. B. Cignaroli, e fra Massimo da Verona  (1728 -1737)

Essa rappresenta il settore pittorico più importante della Cattedrale, raccolto in una specie di scrigno prezioso.
Fra il 1728 e il 1737, per desiderio del vescovo Soffietti, ha inizio la decorazione di questa cappella dedicata ai Santi Patroni, già arricchita dal giovane architetto Longhena con l’altare centrale, proponendo l’esecuzione di sei tele narranti la storia dei Martiri, cominciando dalla cattura, attraverso varie torture, fino alla decapitazione. Opere commissionate nel tempo dai vari podestà succedutisi a Chioggia nell’arco di nove anni.

Si tratta di un ciclo pittorico particolarmente importante per la qualità e l’efficacia delle sei tele, dipinte da altrettanti artisti gravitanti nell’ambito della scuola veneziana, che propongono i vari momenti della passione dei Martiri.
Essi appaiono nell’iconografia come due soldati romani. La tradizione, tuttavia, li rivendica come due commercianti arrivati da Vicenza ad Aquileia, allora importante centro marittimo-commerciale dell’Alto Adriatico.
Nello scatenarsi della persecuzione di Diocleziano (303-305), sorpresi dalle guardie imperiali mentre pregavano in un bosco, furono condotti davanti alle autorità politiche e religiose verso cui professarono apertamente la fede cristiana rinnegando il paganesimo.
Il ciclo di tele raffigura le varie torture a cui furono sottoposti. L’ottima fattura fino a qualche anno fa attribuivano alcune di queste ad autori del calibro del Tiepolo, Piazzetta e Luca Giordano. Le ultime ricerche dello Sponza invece indicano il supplizio delle battiture di Nicolò Bambini, Il supplizio dello stiramento dei corpi e delle bruciature e II supplizio dell’olio bollente di Angelo Trevisani, Il supplizio della frattura delle mascelle, Il supplizio dei rasoi di Gaspare Diziani e La decapitazione di G. B. Cignaroli,
Questo ciclo si qualifica per l’eccellenza dell’armonia compositiva, sempre intensa ed efficace, per l’attento studio delle proporzioni e per il perfetto rispetto delle regole prospettiche.
Forse, per la maggiore luminosità e chiarezza d’impianto compositivo, appare di maggior gradimento  proprio l’ultima scena, la Decapitazione del veronese Cignaroli, composizione vigorosa, costruita con una insolita prospettiva abbassata, che esalta la drammaticità del primo piano e la impregna parimenti di pathos e di una intensa luce di misticismo.

 

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